Prefazione critica per lo spettacolo teatrale "Salomè"
da Oscar Wilde
Regia di Nicola Macolino
Ex Convento di Bonefro
2003
Una rappresentazione teatrale in un luogo non teatrale.
Un convento che non è più tale, defunzionalizzato, divenuto luogo aperto alla possibilità.
Un episodio biblico in cui prorompe la componente erotica.
Il Battista? Un rivoluzionario.
Una Salomè che ricorda Lolita. E l’innocenza si fonde con la crudeltà, generando morte.
Di fronte a questa intensa rielaborazione della Salomè di Oscar Wilde, una rielaborazione creativa, che si distanzia dal testo dell’autore inglese acquisendo una propria originale identità poetica ed estetica, lo spettatore non potrà restare indifferente: potrà amarla oppure odiarla, in ogni caso ne verrà coinvolto, forse sconvolto. Perché si troverà ad interagire con un teatro che rompe i canoni del teatro stesso, aprendone il significato, sgretolandone i confini che lo separano dalle altre arti: esso diventa il luogo in cui avviene lo scambio tra l’attore e il mondo, un’ interazione tra le arti (recitazione, arti visive, danza, musica, canto) e lo sgretolarsi del ruolo passivo dello spettatore: il teatro diventa un’esperienza.
La luna accompagna a piccoli passi con i suoi piedi d’argento come colombe bianche lo svolgimento del dramma, la luna come Salomè, seducente, apparentemente innocente, ma in realtà bramosa di sangue; la luna come dea raccoglitrice di aneliti amorosi, ma contro la quale ogni spasimo d’amore in realtà si infrange.
Al suo candore, che sembra essersi diffuso su tutto lo spazio scenico, contaminando anche i personaggi e gli oggetti, fa contrasto il rosso del sangue: sono questi i colori del dramma, perché il rosso violenta l’asetticità del bianco, introducendo presagi nefasti. I passi della bella e pallida Salomè tracciano il percorso per l’angelo della morte, le parole d’amore del capitano, che ama la bella principessa e sospira alla luna, sono già intrise di morte eppure vive, pulsanti, di carne…sono rosse.
Il sangue è simbolo di linfa vitale, ma anche simbolo della morte, verso la quale gli attori creano una ballata scandita dal mostrarsi e celarsi della luna, che si insinua lentamente nelle coscienze del pubblico, per culminare in tragedia e sconvolgerle (l’arte come shock, citando Baudelaire). Il sangue diventa l’elemento attraverso il quale si officia il rito di sacralizzazione del conflitto tra l’eros e l’innocenza, tra il piacere e la sua negazione, tra l’estasi e la morte.
La religione, tutta volta ad una vita ultraterrena, viene sostituita, nel luogo stesso del suo consolidarsi, da un dramma in cui le passioni terrene irrompono con tutta la loro violenza e voluttà nell’animo dei personaggi, fino ad annientarli. Giungendo alla divinizzazione della donna-mantide Salomè, dea d’amore e di morte, bellissima e spietata. Al rituale religioso si sovrappone il rituale della seduzione ed Erodiade e Salomè ne sono le sacerdotesse.
Non è forse un rituale che Salomè compie attorno al Battista?
Non sono parole che iniziano alla mistica della voluttà nell’associazione tra eros e cibo quelle di Erodiade?
E il capitano è la vittima sacrificale immolata all’amore non corrisposto.
Il teatro può essere ovunque, il teatro che interagisce con lo spirito di un luogo, che esce fuori dallo spazio-teatro, il teatro dell’evocazione e dell’incanto, che strappa il mondo al tempo del quotidiano creando nuove coordinate spazio-temporali, di mondi invisibili che si svelano: quelle del dramma.
Lo spettacolo è un tentativo dell’arte di penetrare nella vita, generando domande nella coscienza dello spettatore, scossa dalla forza di tale esperienza estetico-emozionale nella quale si troverà coinvolto attivamente e che tenterà, invisibile verme, di corroderne lentamente la coscienza, per aprire la prospettiva del suo sguardo su una nuova dimensione del reale.
Emanuela De Notariis
da Oscar Wilde
Regia di Nicola Macolino
Ex Convento di Bonefro
2003
Una rappresentazione teatrale in un luogo non teatrale.
Un convento che non è più tale, defunzionalizzato, divenuto luogo aperto alla possibilità.
Un episodio biblico in cui prorompe la componente erotica.
Il Battista? Un rivoluzionario.
Una Salomè che ricorda Lolita. E l’innocenza si fonde con la crudeltà, generando morte.
Di fronte a questa intensa rielaborazione della Salomè di Oscar Wilde, una rielaborazione creativa, che si distanzia dal testo dell’autore inglese acquisendo una propria originale identità poetica ed estetica, lo spettatore non potrà restare indifferente: potrà amarla oppure odiarla, in ogni caso ne verrà coinvolto, forse sconvolto. Perché si troverà ad interagire con un teatro che rompe i canoni del teatro stesso, aprendone il significato, sgretolandone i confini che lo separano dalle altre arti: esso diventa il luogo in cui avviene lo scambio tra l’attore e il mondo, un’ interazione tra le arti (recitazione, arti visive, danza, musica, canto) e lo sgretolarsi del ruolo passivo dello spettatore: il teatro diventa un’esperienza.
La luna accompagna a piccoli passi con i suoi piedi d’argento come colombe bianche lo svolgimento del dramma, la luna come Salomè, seducente, apparentemente innocente, ma in realtà bramosa di sangue; la luna come dea raccoglitrice di aneliti amorosi, ma contro la quale ogni spasimo d’amore in realtà si infrange.
Al suo candore, che sembra essersi diffuso su tutto lo spazio scenico, contaminando anche i personaggi e gli oggetti, fa contrasto il rosso del sangue: sono questi i colori del dramma, perché il rosso violenta l’asetticità del bianco, introducendo presagi nefasti. I passi della bella e pallida Salomè tracciano il percorso per l’angelo della morte, le parole d’amore del capitano, che ama la bella principessa e sospira alla luna, sono già intrise di morte eppure vive, pulsanti, di carne…sono rosse.
Il sangue è simbolo di linfa vitale, ma anche simbolo della morte, verso la quale gli attori creano una ballata scandita dal mostrarsi e celarsi della luna, che si insinua lentamente nelle coscienze del pubblico, per culminare in tragedia e sconvolgerle (l’arte come shock, citando Baudelaire). Il sangue diventa l’elemento attraverso il quale si officia il rito di sacralizzazione del conflitto tra l’eros e l’innocenza, tra il piacere e la sua negazione, tra l’estasi e la morte.
La religione, tutta volta ad una vita ultraterrena, viene sostituita, nel luogo stesso del suo consolidarsi, da un dramma in cui le passioni terrene irrompono con tutta la loro violenza e voluttà nell’animo dei personaggi, fino ad annientarli. Giungendo alla divinizzazione della donna-mantide Salomè, dea d’amore e di morte, bellissima e spietata. Al rituale religioso si sovrappone il rituale della seduzione ed Erodiade e Salomè ne sono le sacerdotesse.
Non è forse un rituale che Salomè compie attorno al Battista?
Non sono parole che iniziano alla mistica della voluttà nell’associazione tra eros e cibo quelle di Erodiade?
E il capitano è la vittima sacrificale immolata all’amore non corrisposto.
Il teatro può essere ovunque, il teatro che interagisce con lo spirito di un luogo, che esce fuori dallo spazio-teatro, il teatro dell’evocazione e dell’incanto, che strappa il mondo al tempo del quotidiano creando nuove coordinate spazio-temporali, di mondi invisibili che si svelano: quelle del dramma.
Lo spettacolo è un tentativo dell’arte di penetrare nella vita, generando domande nella coscienza dello spettatore, scossa dalla forza di tale esperienza estetico-emozionale nella quale si troverà coinvolto attivamente e che tenterà, invisibile verme, di corroderne lentamente la coscienza, per aprire la prospettiva del suo sguardo su una nuova dimensione del reale.
Emanuela De Notariis
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